Siffrydina e i Sanseverino

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Attraversando l’Arco di Fellino, di fronte al bar Castello, è possibile vedere uno dei pochi murales naif sopravvissuti al tempo. Rappresenta una donna distesa, esanime ed in catene, in un paesaggio che lascia intravedere un castello in parte nascosto da una grata reale, attorno alla quale è stata creata l’opera. In cima, unico simbolo storicamente riconoscibile, lo stemma degli Hohestaufen, la casata di Federico II Imperatore e Re di Sicilia.

La donna è Siffrydina Gentile, moglie di Tommaso il Vecchio di Sanseverino, conte di Caserta e Signore del Feudo di Lauro.

Il dipinto è sicuramente un omaggio a questo personaggio storico e riflette con semplicità il destino di una famiglia, legata all’Imperatore da vincoli politici e di sangue.

Syffridina era la madre di Riccardo di Sanseverino, penultimo discendente del ramo De Lauro, condottiero e marito della figlia di Federico Violante di Svevia.

Con la discesa di Carlo D’Angiò, i Sanseverino si schierarono con Manfredi di Svevia, ma i tragici eventi di Benevento e la more del Re, dichiararono la fine dei fasti della famiglia e diedero vita a storie di tradimenti e vendette personali.

La leggenda vuole che Riccardo, capo della cavalleria, avesse tradito il cognato Manfredi per passare dalla parte dell’Angiò durante la battaglia. L’ostinazione dei Sanseverino a non sottomettersi al sovrano francese mette un grosso punto interrogativo a questo episodio e ci pone un’altra domanda: perchè? Quando si combatte questa guerra, Violante è già morta. si dice suicida, trascorrendo di suoi ultimi giorni consumata dalla pazzia. Ma Riccardo conosce la verità: sa che ciò che tormenta l’amata è concreto e legato al re. Manfredi ha violentato la sorellastra sua ospite condannandola alla follia.

Riccardo allora ordisce il piano di vendetta: il suo tradimento porterà Manfredi alla morte in battaglia, determinerà la fine del regno degli Hohenstaufen e il dominio di una sovrano straniero.

La madre non perdonerà mai Riccardo che morirà solo, afflitto dal dolore e dal ricordo della moglie.

Siffrydina finirà in catene assieme al nipote Corradello e terminerà in prigionia i suoi giorni.

Tutto ciò è leggenda, ma spiega il murales dal quale siamo partiti, spiega le catene e una donna sfinita, il castello abbandonato e l’aura del potere che aleggia su tutto.

Per quanto riguarda le fonti storiche, In almeno due momenti chiave di tali vicende, secondo quanto attestano le fonti storiche, il destino di Syfridina sembra essersi intrecciato con quello di Lauro;

il primo, risalente all’ottobre del 1249, quando ella si recò nel territorio lauretano insieme al figlio Riccardo, il quale donò alcune terre alle chiese di S. Giacomo di Caserta e di S. Felice di Lauro.

Il secondo, invece, nell’estate del 1268, quando (probabilmente) consigliò al nipote Corrado di inviare suoi messi a Cicala, Nola, Palma e Lauro per incitare gli abitanti a ribellarsi contro Carlo I.

Fu, quest’ultima, la sua condanna a morte.

Moglie di Tommaso Sanseverino “il Vecchio”, conte di Caserta e signore di Lauro, rampollo del ramo Lauretano della nobile famiglia normanna, figlio di Roberto “minor” di Lauro e Adelagia, figlia di Diopoldo VII di Vhoburg, nipote di Federico Barbarossa, Syffrydina ebbe due figli: Raynaldo, che si avviò alla carriera ecclesiale e divenne vescovo, e Riccardo di Caserta, che fu conte, condottiero ed uomo politico di spicco.

Appartenne, dunque ad una delle più importanti dinastie feudali di epoca medioevale e rappresenta l’anello di congiunzione tra le vicende degli ultimi tre signori del ramo dei Sanseverino detto di Lauro: fu, infatti, moglie di Tommaso Sanseverino, madre di Riccardo, “il più grande dei rappresentanti del ramo di Lauro” e nonna di Corrado (o Corradello), col quale si concluse tragicamente il destino di tale nobile famiglia.

Fu un personaggio eccezionale in relazione alla condizione della donna nel medioevo: prive di autonomia, anzi, in una condizione di diritti affievoliti, le donne medioevali vivevano sotto la potestà degli uomini o del re, i quali vantavano il cosiddetto “mundio”, ossia il diritto di proteggere una donna sia in campo giuridico che in quello patrimoniale.

Tra l’altro non fu la sola a ricoprire, nella terra di Lauro, un ruolo politico di inusuale spessore: nella casata dei Sanseverino, infatti, si annovera anche un’altra donna straordinaria, Sarracena, moglie di Roberto I Sanseverino, la quale resse proprio il feudo lauretano dalla morte del marito fino alla maggiore età del figlio Roberto II, dal quale prese origine il ramo dei Sanseverino detto “de Lauro”.

Le vicende della vita di Siffrydina e del presunto tradimento di Riccardo sono state portate in scena a Lauro in due occasioni:
Nel 2002 a cura della SMS Benedetto Croce con la regia dei prof. Lauro e Siniscalchi, con la dramaturgia di A. Pica e nel 2015 a cura della compagnia Il Demiurgo con la Drammaturgia di Franco Nappi.

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Autore del post: Daniele Acerra

Classe 1989, ma ne dimostra di più. Lauretano da sempre, scrittore da un po', si occupa di teatro e cinema.

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