Giuseppe Alfredo Vivenzio (Peppinello)

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Giuseppe Alfredo Vivenzio, un ponte che collega Lauro e Siena

Lauro e Siena, lontane circa quattrocento chilometri, e senza alcuna cosa in comune se non la loro anima medievale e il fatto che i loro nomi sono costituiti da cinque lettere.

Eppure, un filo che le lega c’è, una briglia per meglio dire, rossa con qualche punta di verde, e sfumature gialle e viola: Giuseppe, Alfredo Vivenzio.

Giuseppe Alfredo Vivenzio o “Peppinello” come viene soprannominato, nasce a Lauro il 18 giugno del 1939 da Salvatore e Filomena, al civico 12 di Piazza Nobile, evidentemente fucina di talenti.

Figlio di mezzo di dieci fratelli, cresce tra i vicoli di Lauro un ragazzino come tanti, che un giorno sì e l’altro pure accompagna suo padre a lavoro, che lui voglia o no.

Papà Salvatore è il responsabile della scuderia relativa alla caserma del Corpo Forestale dello Stato di Lauro, ed è fra biada e strigliate che suo figlio forgia quella passione per i cavalli, che lo accompagnerà per tutta la vita.

I mesi tra il 1952 e il 1953, sono di grande fermento per Lauro, che diventa per qualche tempo la succursale di Cinecittà, è infatti teatro delle riprese per il film “Il maestro di Don Giovanni”, e troupes, truccatori e costumisti fanno la spola tra Marzano e la stessa Lauro, seguiti da orde di curiosi a caccia dei divi Erroll Flynn e Gina Lollobrigida.

Tra di loro c’è anche Peppinello, che però ha occhi soltanto per i cascatori e i loro cavalli.

Li segue, gli gironzola intorno, ci parla e racconta che insieme al suo Papà è sempre al galoppo, e alla fine ci fa amicizia, guadagnandosi anche una comparsata nel film.

Nel 1955 le primavere lauretane del giovane giungono al termine, salutati amici e parenti si parte alla volta della capitale, Roma.

L’impatto è complesso, trasferirsi da un paesello di poco meno di tremila abitanti ad una metropoli non è facile, soprattutto per una famiglia così numerosa, ma la sua passione è determinante.

Ritrova i suoi amici cascatori, conosciuti sul set del film lauretano, con i quali si era evidentemente tenuto in contatto, e comincia così a lavorare insieme a loro.

Peppinello è nel suo elemento, è felice, così felice che si convince che il cinema e i cavalli saranno il suo lavoro, così dopo qualche tempo si reca a Merano.

All’epoca la città trentina era il passaggio obbligato per chiunque intendesse fare dell’equitazione il proprio mestiere, era praticamente l’università dei fantini.

Lì Peppinello frequenta la Scuola allievi fantini da ostacoli, dell’Ippodromo Maia di Merano, rimanendo in provincia di Bolzano per un anno intero, a strettissimo contatto con il suo gruppo e il suo allenatore, dal quale apprende i rudimenti teorici e pratici della disciplina.

L’anno passa in fretta, ricchissimo di esperienze e soddisfazioni, che faranno sbocciare in lui un desiderio: il Palio di Siena.

Il Palio si corre due volte l’anno: il 2 luglio quello intitolato alla Madonna di Provenzano e il 16 agosto quello alla Madonna Assunta; ha origini antichissime, le prime regole tutt’ora valide, risalgono al 1633, ma con ogni probabilità la manifestazione esisteva già da prima.

Sentitissima dai senesi, la “carriera”, com’è chiamata la corsa, si svolge sul “tufo” la pista che si snoda lungo il perimetro di Piazza del Campo;

lunga 339 metri, i suoi punti salienti sono il punto di partenza detto la “mossa”, la “curva del Casato” e infine, quella “di San Martino” che per via della pendenza è considerata la più pericolosa.

I giri utili sono tre.

Siena si divide in diciassette contrade, dieci delle quali prendono parte alla gara, e il 2 luglio del 1964 al consueto corteo storico pre-gara, c’è un volto nuovo:

l’esordiente Giuseppe Vivenzio, nome di battaglia “Peppinello”.

Il venticinquenne giovanotto, già vincitore del palio di Buti nel ‘63 con i colori della contrada Pievania, è pronto a difendere i colori del Drago in groppa ad Arianna II.

Il giorno della gara fiumi di persone si riversano in piazza, stipati l’uno di fianco all’altro come fiammiferi, urlano, incitano e animano le schermaglie tra frange.

Sulla linea di partenza la tensione è palpabile, i cavalli sbuffano e nitriscono e gli occhi dei fantini sono tutti puntati sul mossiere Wilson Pesciantini, come quelli dei setter sulla preda e … un momento!

Arianna è troppo irrequieta e invade la postazione di un avversario, arriva l’ammonizione. Cavalla e fantino tornano in postazione tre, e con loro anche la concentrazione generale.

Pronti, partenza, giù il canape e via!

Alla mossa Peppinello brucia tutti, già alla curva di San Martino gli altri cominciano ad arrancare e Arianna allunga, tiene loro testa per tutto il secondo giro e alla terza Casato, Peppinello la sollecita con il nerbo e vanno a prendersi la vittoria, sotto gli occhi della capitana del Drago “Kinda” Brandolini d’Adda.

Il nostro Peppinello è sugli allori, vincendo all’esordio tutte le contrade ora gli fanno la corte, e alla fine decide di cedere alle lusinghe dell’Oca.

Mario Bruttini, il capitano Ocaiolo gongola, è convinto di aver messo le mani sul “cavallo vincente”, che però evidentemente doveva essere uno spirito troppo libero, perché poco dopo avviene il giallo!


Prima di ogni palio è prassi per il fantino sostenere cinque prove organizzate in tre giorni, più una generale detta “provaccia”, che si tiene il giorno stesso del palio.

Il fantino irpino sostiene con l’Oca la prima prova, le sue abilità sono indiscusse e la dirigenza biancoverde già si sfrega le mani, ma la sera stessa di Peppinello si perdono le tracce.

Gli ambienti Ocaioli sono pervasi di sgomento e preoccupazione, che ben presto si trasformano in rabbia e frustrazione quando viene a galla, che il giovane talento sul quale avevano puntato, ha disertato per indossare il giubbetto verde-viola della contrada della Torre.


La Torre! I detestati rivali di sempre! Gli Ocaioli non possono crederci, abbandonati a poco più di tre giorni dal palio!

E la storia non è ancora finita: la contrada della Chiocciola ha perso il suo fantino il giorno della provaccia, smarriti chiedono ai loro alleati della Torre il giovane Peppinello come sostituto, che acconsente.

Dopo questo valzer di contrade e giubbetti, il 16 agosto 1964 Giuseppe Vivenzio difende i colori giallo e rosso della Chiocciola.

Il clima che precede il palio dell’Assunta è da Far West, tanto da costringere gli organizzatori a impedire a Peppinello di partecipare al consueto corteo storico per timore di ripercussioni, così il giovane si palesa direttamente alla postazione otto in sella all’esordiente Danubio della Crucca.

Gli Ocaioli sono una miccia pronta ad esplodere, gira voce che abbiano addirittura già aggredito priore e capitano Chiocciolini, Giuseppe però non se ne cura, sa bene che con un’altra vittoria porrebbe fine a qualsiasi mugugno.

Il canape cade e mossa!

Il rumore degli zoccoli esplode sul selciato, cavalli e fantini si mischiano tra di loro in una massa informe e gridante, quando ad un tratto succede l’impensabile:

Umberto Piazzesi il barbaresco dell’Oca, all’altezza dei palchi di Fonte Gaia, sferra un calcio al malcapitato Peppinello, che prova a ritornare in groppa in tutti i modi ma è costretto a lasciarsi cadere già alla prima San Martino.

Per questo gesto Piazzesi subirà una squalifica dai palii di due anni.

Ora la sfida è scampare agli zoccoli dei cavalli e alla rappresaglia degli Ocaioli.

Con un movimento repentino si rimette in piedi e di gran carriera si rifugia a casa della capitana della Torre: la Marchesa Misciattelli, consci entrambi di dover fronteggiare l’orda biancoverde, che però tarda ad arrivare.

Ma dove sono?!

Presto detto, hanno spostato la loro attenzione su qualcos’altro: del parapiglia generale ne ha approfittato il fantino della Torre, “Rondone” Tamburelli, che si è portato in prima posizione, e per loro una sua vittoria sarebbe anche peggio del tradimento.

D’un tratto però dalle retrovie sbuca Danubio, nel palio in realtà è il cavallo che vince la corsa e quindi la Chiocciola è ancora in gara.

Come una furia già nel secondo giro, il grigetto comincia a riguadagnare terreno, fino a concretizzare la rimonta alla terza Casato.

“Rondone” e la sua cavalla Daria sono beffati, Danubio della Crucca si aggiudica il Palio, e Peppinello, seppur da spettatore, è ancora una volta sul gradino più alto del podio!

Danubio della Crucca con i paramenti giallorossi della Contrada dell’Oca.

I più gridano al broglio, sostengono infatti che Danubio non abbia completato tutti e tre i giri previsti.

La bagarre ovviamente diventa una questione di piazza e mentre i chiocciolini si espongono il meno possibile per via dei fatti dei giorni precedenti, scherzo del destino vuole che i più strenui difensori della vittoria siano proprio gli Ocaioli!

Disposti anche a perdonare il cambio di bandiera, piuttosto che vedere la contrada Torre vincere.

Ci vorrà un’attenta valutazione del materiale fotografico e una meticolosa revisione dei nastri, per poter sancire finalmente il vincitore, alla fine dunque la contrada della Chiocciola porta a casa il drappellone.

Per quel palio dell’Assunta, si millanta ancora oggi di diserzione, il nostro Vivenzio però ha sempre strenuamente detto e ripetuto che fu tutto un malinteso e che poi la delusione e la rabbia di quelli dell’Oca, montarono il caso.

Quali furono davvero i “fuoripista” che animarono quella gara del 1963, non lo sapremo mai;

quello che però sappiamo è che i cambi di giubbetto sono molto più frequenti di quanto vollero far credere, ma soprattutto che Giuseppe Vivenzio, al secolo Peppinello, fece “cappotto” all’esordio!

Non una notizia da poco visto che fin dalle origini della kermesse, solo altri ventidue fantini sono riusciti a vincere alla prima apparizione, e soltanto tre alle prime due di fila, facendo oltretutto “cappotto”, ovvero vincendo entrambe le edizioni dello stesso anno.

Partecipò al Palio altre tre volte, senza però riuscire a ripetersi e forse questo ha contribuito a preservare la magia di quel meraviglioso debutto.

A Roma, sua città d’adozione, dopo aver lavorato all’ippodromo di Capannelle, per la scuderia Hermès del cavaliere Alessandro Maria Perrone, si è poi imposto nel cinema, arrivando a costituire una scuderia tutta sua.

Come cascatore e attore a cavallo, partecipa a molte produzioni tra Cinecittà e il resto dello stivale, tra le quali spiccano “Ben-Hur” del 1959, “Monteriano – Dove gli angeli non osano metter piede” del 1991 e “Corri come il vento, Kiko” che nasce nel 1982 da una sua idea, e dove lui stesso collabora al soggetto e alla sceneggiatura, ricoprendo oltretutto il ruolo di organizzatore e consulente per il palio che si svolge nella pellicola.

Giuseppe ci ha lasciati nel 2021 e per tutta la sua vita non ha mai dimenticato Lauro.

Fin quando gli è stato possibile, è tornato ricorrentemente ogni estate e tutte le volte che poteva, per godere della compagnia dei parenti e degli amici, e aggirarsi tra le strade e i vicoli della sua infanzia.

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Autore del post: Alessandro Rega

Specializzando in scienze e tecnologie agrarie Classe 1991 Tifosissimo del Napoli

1 commento

  1. Patrick Andre Vivenzio

    Grazie per quel bello articulo . Peppino era un piccolo grande uomo . Mi piacerebbe tornare un giorno a lauro , origene de la familia purtroppo o poco tempo libero .

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