La Focara di Fontenovella

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La focaraè un falò, un grande fuoco controllato che si fa all’aperto, in piazza.

Il fuoco ha una valenza storica che ha pochi pari, ha accompagnato l’uomo nel corso di tutta la sua evoluzione, con caratteristiche e significati diversi, a volte opposti.

E’ stato considerato il simbolo di quell’energia che improvvisamente, come una scintilla, riporta nell’anima i ricordi che si ritenevano perduti. Il fuoco però è stato usato pure per rappresentare l’oblio, la distruzione della memoria. 

In molti rituali d’Europa, siano essi di derivazione pagana o religiosa, il falò riveste il ruolo di elemento principale.

La tradizione pagana o storica la troviamo in larga parte nell’area scandinava, in Danimarca (dove viene bruciata la strega), in Irlanda del Nord (Hallowen) ed in Gran Bretagna (Guy Fawkes Night – la “Congiura delle polveri”).

Nella tradizione religiosa invece i falò sono associati prevalentemente alla celebrazione di San Giovanni Battista, il 24 giugno, ed alla liturgia pasquale, per la caratteristica purificatrice del fuoco. 

In Italia, soprattutto al Sud, è presente anche in altri periodi dell’anno.

In alcuni casi col fuoco si “cancella” l’anno vecchio, il 6 gennaio, come a Napoli, negli antichi quartieri.

In altri, si celebra l’arrivo della primavera, il 19 marzo, a San Giuseppe.

Ci sono poi i falò del 17 gennaio, il giorno in cui si celebra Sant’Antonio Abate.

Tutti coloro che hanno a che fare con il fuoco vengono posti sotto la protezione di Sant’Antonio, in onore del racconto che vedeva il Santo addirittura recarsi all’inferno per contendere al demonio le anime dei peccatori.

Nel Vallo di Lauro, anche il popolo di Quindici celebra Sant’Antonio Abate con modalità simili; dopo la benedizione degli animali, rito centenario, vengono accesi i falò posti in diverse zone del paese e delle frazioni di Beato e Bosagro.

Molte di quelle celebrazioni sembrano legate unicamente all’immagine sacra del Santo, ma l’aspetto celebrativo religioso non è il solo motivo; vi è un aspetto antropologico molto importante: le focare di Sant’Antonio servono a bruciare gli sfalci e le potature delle viti e di altre coltivazioni che caratterizzano il Sud; la tradizione del fuoco è quindi “mista” tra religione e paganesimo, assume un valore ben più ampio e va a collocarsi in un contesto socio antropologico che, nella sua semplicità, è molto significativo.

Nei miei ricordi il falò è legato al Vallo di Lauro e precisamente a una tradizione che da secoli è uno dei tratti distintivi di una piccola comunità.

A Fontenovella, frazione di Lauro, la focara viene accesa la notte del 24 dicembre.

Negli ultimi decenni, subito dopo la Messa, ma non è stato sempre così, o meglio, anni addietro si diceva messa anche dopo l’accensione, nella maggior parte dei casi: questo significherebbe che il falò e la liturgia, anche in questa circostanza, non sono strettamente collegati.

A differenza di quella di Novoli, molto più famosa quest’ultima in terra Salentina, la focara di Fontenovella non viene benedetta e non riporta simboli cristiani in alto, come croci o statue; si tratta esclusivamente di un fuoco, attorno al quale si riuniscono gli abitanti del luogo, intonando canti natalizi di tradizione partenopea: in sintesi, una grande famiglia raccolta intorno al focolare domestico.

Non si celebra il solstizio d’inverno, né l’arrivo della primavera.

Non si portano Santi in processione né si festeggia un nuovo anno, anche se il rituale antico era ben diverso da quello attuale. 

Per questo motivo, facciamo un salto indietro e proviamo a seguire una cronologia.

Fino agli anni 50, la chiesa di Fontenovella non era parrocchiale e quindi la liturgia veniva celebrata con frequenze ed orari diversi dagli attuali, quando si trattava di veglie.

Questo ha consentito un’ampia discrezionalità per quanto riguardava l’accensione del falò, nel corso del tempo.

Gli anziani del luogo raccontano che anni fa, prima della messa della Vigilia, si faceva una piccola processione con il Sacramento.

La processione partiva dalla Chiesa per arrivare alla Cappellina Trione, quella nei pressi dell’oleificio Volino, dove era stato costruito il presepe.

A questo punto del racconto, vanno riportati dei nomi: quando ancora la tradizione rituale era integra, alcune persone hanno svolto per anni ognuno il proprio compito. L’ultimo “costruttore” del presepe nella cappellina fu Carmine Acerra, Carminiello.

La famiglia Acerra era devota a quella Madonnina, tanto che ogni sera uno dei componenti andava ad accendere un lumino.

Questa consuetudine si è protratta fino alla fine degli anni ’50, mentre quella della processione si è persa presumibilmente nel 1968 con Padre Graziano. Quando fu costruita la fabbrica Imparato, i Trione, proprietari della cappelletta, richiesero che quella usanza fosse abolita, poiché ebbero a reclamare il possesso privato (o privativo?) della Madonnina.

L’esposizione del Sacramento non aveva niente a che vedere con il periodo e la celebrazione natalizia, eppure nelle prime ore brune della Vigilia, questo veniva ostentato in processione.

Oggi, considerato che le varie normative ecclesiastiche hanno ridotto al minimo le manifestazioni processionali, si potrebbe definire inappropriata, ma in quel tempo era molto più che un rito religioso: era la liturgia a diventare parte della tradizione, assumendo un carattere più sociale che esclusivamente sacrale: serviva a riunire.

Quando iniziava la processione, i Fontenovellesi sapevano che era il momento di riempire la piazzetta. 

Per il fatto, dicevamo, che ci sarebbe stata una processione col Sacramento nella sera della Natività, Carminiello iniziava giorni prima a preparare il presepe, i Fontenovellesi consumavano il cenone, spesso frugale, più in fretta, per fare in tempo… e Gaetano Casalino spolverava la sirena a manovella. Si, la sirena! 

Continuiamo a scandire i tempi della tradizione, tra un po’ arriviamo anche a quella.

La processione abbandonava la piazzetta e si snodava verso Lauro, fino ad arrivare alla cappellina Trione; benedizione al presepe, poi si ritornava indietro, sempre su via Nazionale. Mezz’ora in tutto.

Una volta giunti al portale della chiesa, il corteo si scioglieva e ci si raccoglieva intorno a quella che di lì a poco sarebbe diventato un enorme falò.

Ecco: in quel momento, Gaetano Casalino iniziava a far girare la manovella della sirena: era l’avviso che stavano per accendere il fuoco.

Probabilmente, si trattava di una sirena antiaerea, qualche residuato bellico del primo conflitto mondiale, forse, una di quelle che fanno il suono lungo, fino a che non si smette di ruotare la ventola.

Un minuto, due, poi si cominciava ad intravedere qualche fiammella e via con i canti.

Dalla fine degli anni 50, questi usi andarono perduti un po’ alla volta, inesorabilmente.

E’ bastato poco perché andassero a finire queste tradizioni, banali se a vederle non erano i Fontenovellesi, tuttavia dense di significato: il punto di riferimento del presepe nella cappellina, il suono atteso di una banale quanto insolita sirena da guerra “convertita” all’uso pacifico di riunire e non far scappare. Le campane della chiesa avevano invitato alla liturgia, mentre la sirena invitava anche i “ritardatari”.

E’ bastato poco perché le tradizioni sono come la tela di un ragno: estremamente complesse, ma basta che si rompa uno solo degli intrecci per compromettere tutta la struttura e talvolta il ragno, invece di ricostruirla, si rintana. Fontenovella è quei fili intrecciati: una piccola frazione del Sud non offre molte prospettive di sviluppo, negli anni successivi a poco serviranno i grandi progetti industriali e molti ritorneranno “nella tana” o abbandoneranno la loro piccola realtà.

Ecco come si rompono gli intrecci. Una parte di quella tela spesso resiste, come alcune tradizioni, ma non sarà perfetta come prima. La parte di tela integra è invece la tradizione della Vigilia oggi, che, anche se non si sente più suonare la sirena di Gaetano, è molto sentita e nella Santa Notte la piazzetta si ripopola.

La focara ha un valore semplicemente sociale. E’ composta da fascine di rami sfalciati e potati, ma differenza di quella di Novoli, non sono di viti bensì di noccioli, frutti tipici della zona e principale fonte di profitto per la frazione che, un tempo industria di fornaci, ha assunto nei secoli seguenti uno spiccato profilo agreste, come buona parte del Vallo: “All’infuori dei terreni sterili, all’infuori dei luoghi addetti ai boschi, ed alle selve cedue, all’infuori di quelli dove piantati sono i castagni, o le nucelle, o gli olivi, per tutto il resto dell’estenzione, tutta l’economia rurale si riduce a zappare ed a potare.”(Indagine Murattiana, 1811. Burò di statistica, Ministero dell’Interno, sez IV)

La piazza oggi è intitolata ai Santi Francesco e Chiara.

I sarcinielli sono tutti sistemati magistralmente attorno ad un palo, alto circa 5 metri, piantato a terra. I giovani che hanno raccolto le fascine dalle masserie circostanti (le più grandi erano quelle dei Pandola e dei Venezia), provvedono ad accenderla, dopodichè si intonano i cori.

Negli ultimi anni le Associazioni e le Confraternite presenti nel territorio hanno contribuito ad accrescere il valore tradizionale della focara, coinvolgendo gruppi di cantori come il Coro dei Pastori di Lauro (i Biancovestiti che il Venerdì Santo interpreteranno le melodie della Passione di Cristo) e  il “Coro Natalizio di Fonte Nova” (2014).

Qualche volta invece si è cantato sulle note vivaci della tammurriata, o della pizzica, o altri ritmi, sempre cadenzati dalla rima dialettale partenopea.

La piazzetta di Fontenovella è situata di fronte ad un’antica fontana romana, l’elemento acqua, da cui il nome della frazione.

A sinistra di questa fontana, si staglia l’imponente scalinata che porta alla chiesa della SS. Annunziata e proprio di fronte a questa gradinata viene costruita la focara.

In passato ha ricevuto diversi interventi di restauro, qualcuno dei quali ha cambiato radicalmente la struttura, attenuando la pendenza che in passato era molto evidente, e cingendo i due colossali platani con un anello in muratura. Talvolta erano previste anche nuove pavimentazioni.

Con la ristrutturazione della fine degli anni ’80 è stato realizzato un basolato di pietre scure, con un rosone esagonale squadrato, ampio, nell’area in cui bruciava la focara, quindi ai piedi della scalinata. Il problema principale, che subito saltò agli occhi dei Fontenovellesi, fu la mancanza del buco in cui incastrare il palo.

Il centro di questo rosone moderno era infatti una pietra, sempre esagonale, di circa 45 cm in diagonale, spessa circa 15 cm, difficile da rimuovere senza che si rischiasse di romperla, in quanto incastonata al millimetro.

Con una pavimentazione simile, sarebbe stato impossibile installare il palo per mantenere le fascine. La soluzione, immediata, fu la più semplice: dopo qualche settimana la pietra non c’era più.

Fu la maniera più rapida per garantire che quel foro rimanesse lì, a bloccare il tempo, a fare da collegamento tra l’elemento terra e l’elemento fuoco il quale, volgendo verso l’alto, ci avvicinava le stelle in quella magica notte. Perché la tradizione è più importante dell’estetica.

Nell’area dell’attuale comune di Lauro, la focara di Fontenovella è l’unica pira a bruciare nella notte della Vigilia da secoli. Questa piccola frazione infatti ha conservato un profilo proprio nelle tradizioni, perché fino ai primi anni del 1800 è stato un comune a sé, insieme all’attuale quartiere Fellino.

Nel 1806 l’applicazione di nuove leggi, importate dai francesi nel Regno di Napoli, sancì l’unione di Fontenovella e Fellino a Lauro ed a nulla valse la presentazione di una “Istanza di separazione” (1822) al Consiglio di Stato, che nel 1829 rigettò la richiesta.

I Fontenovellesi, quindi, hanno sempre celebrato la loro comunità proprio in quella piazzetta, sulla quale affaccia un antico palazzo, denominato “casa Trione” (1815).

Un tempo ci vivevano i signori del luogo, i padroni, quelli che nei primi decenni del 900 avevano l’acqua potabile, quelli che hanno avuto per primi la corrente elettrica e la televisione in una piccola frazione del Vallo.

Prima dei Trione, ci saranno stati certamente altri casati, altri ricchi, che forse qualche volta hanno onorato la tradizione braccio a braccio con i loro coloni.

Mentre questi ultimi cantavano, braccio a braccio, con quei giovanotti che al mattino, alla buon’ora, monelli e fieri, avevano rubato in masseria qualche fascina per portarla in piazzetta. 

Ed al buio, prima che la focara venisse accesa, quei coloni individuavano i propri “sarcinielli”: ognuno di loro sapeva distinguerli con assoluta precisione, perché la legatura che teneva stretti i rami era una firma, e per loro che erano in prevalenza analfabeti, era come se tra quegli sfalci fosse scritta la loro vita quotidiana…

Eh si, perché tante di quelle fascine servivano per infiammare i forni in cui cuocevano pane, pastiere e pizze di grano….

Ma in quella particolare notte comunque si soffermavano e, alla prima scintilla che veloce veloce correva su, verso le stelle, l’elemento aria, si facevano pervadere dal quel pacifico e rasserenante calore, perché si sa, il fuoco affascina.

Ancora si cantava, un po’ alticci, magari, ed anche quello fa parte della tradizione. 

La notte della vigilia finiva dopo qualche ora, quando il sonno di signori, coloni, monelli e cantori diventava più attraente del calore di un falò. I brutti pensieri erano volati via con le faville; stavolta il fuoco non era distruzione, non come il “feu sacre della libertè” al grido del quale il generale Vachier, Championnet, aveva devastato il Vallo, le genti e la memoria nel 1799.

La notte della focara è una tradizione d’amore e d’amicizia; non sono stati mai, né mai verranno bruciati “tetti, porte, biblioteche, mobili, biancheria o arazzi”, mai si griderà alla distruzione ed al terrore: solo sfalci e legni dei nostri amati, indispensabili noccioli.

E da anni, secoli, il Fontenovellese, bambino o vecchio saggio che sia, il giorno dopo passa in piazzetta ed istintivamente butta un’occhiata alla cenere: se la vede ancora fumante, tiepida e magari ancora rossa coi tizzoni ardenti, ritorna con la mente alla notte passata.

Accenna un sorriso, ripensa ai canti, agli auguri, magari anche ad una vecchia sirena, non affascinante come Leucosia, certo, ma altrettanto attraente, poi volge lo sguardo davanti a sé e continua per la sua strada.

Fonti

Visita ai quartieri: Fontenovella” – Pro Lauro, 2005;

Laurinienses” – F. Mercogliano, 2013;

Agricolture a confronto: i circondari di Lauro e di Tufino nel 1811, e domani?” – Capolongo, Mercogliano, 2010.

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Autore del post: Clemente Scafuro

Appassionato di tradizione e innovazione. Ama la fotografia, i viaggi e il rock, é un aspirante giornalista e speaker radiofonico. Ha l'indole della pianificazione: tutto ciò che si decide di fare, deve essere accuratamente programmato. Ha vissuto diversi scenari lavorativi che lo hanno portato un po' in giro e da qualche anno ha deciso di investire tempo e risorse nell'amore per la sua terra.

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