Salvatore Mennella, di Migliano frazione di Lauro, coniugato con figli.
Nato verso il 1830, fu personaggio di rilievo nella lotta antiunitaria condotta in tempo di brigantaggio nel territorio del Vallo di Lauro.
Congedatosi regolarmente dall’esercito napoletano “per compiuto impegno”, tornò in paese dove esercitò il mestiere di barbiere.
Di tendenza borbonica, esaltava pubblicamente il passato governo nonché il comportamento dell’esercito napoletano eroicamente resistente al fuoco dell’armata piemontese.
Salvatore Mennella affermava che presto Francesco II sarebbe tornato nel suo Regno per opera delle bande armate che combattevano contro il governo sabaudo.
Fu ritenuto di essere in rapporto con le bande armate, e persona di fiducia di Cipriano Della Gala, capo brigante del territorio nolano. Formulatesi su di lui le accuse, ne fu ordinato dal sindaco dell’allora comune di Migliano, Vincenzo Damiano, l’arresto, a cui provvide in data del 28 febbraio 1861 il Capitano della Guardia Nazionale di Moschiano don Diodato Del Giudice che per ordine superiore era autorizzato a sorvegliare sull’intero mandamento.
Detenuto presso le carceri del Castello di Lauro per meno di un mese ne uscì con rapidissima procedura il 26 marzo, avendo avanzata istanza, con acclusa certificazione del medico condotto Pasquale Ferraro, di non tollerare l’aria insalubre del carcere date le sue precarie condizioni di salute.
Passava così agli arresti domiciliari essendo affidato alla sorveglianza di due guardie nazionali del comune, Antonio Bossone e Antonio Della Rocca.
Incurante dell’ordine restrittivo circolava indisturbato per il paese e frequentava la cantina di Ottavio Pesapane.
Proprio nella cantina, il 10 aprile, ferì con un colpo di fuciletto don Onofrio Cappiello, un proprietario cinquantenne di Migliano, ritenuto dal Mennella suo accusatore, presso la Giustizia, di associazione a banda armata.
Salvatore Mennella, per sfuggire all’arresto, lasciava il paese e si associava ai briganti, per poi, nei termini previsti dalla legge, presentarsi alle autorità competenti.
In seguito ai fatti doveva il Mennella rispondere dei reati:
1) di corrispondenza con comitiva armata,
2) di discorso tendente a spargere il malcontento contro il governo,
3) di fuga semplice dal luogo di custodia,
4) di mancato omicidio con premeditazione in persona del Cappiello.
Ma non ricorrendo per i punti 2 e 3 gli estremi che dessero luogo a procedimento penale, e per altre imputazioni avendo, il Giudice istruttore del Circondario di Avellino, ordinato la spedizione degli atti alla Procura Generale della Corte di Appello di Napoli ne risultò che due anni dopo i fatti, il Mennella venisse condannato a dei giorni di carcere e al pagamento delle spese.
La Procura Generale, pertanto, aveva dichiarato di non dare luogo a procedere per il reato di associazione a banda armata e in quanto al ferimento lo stesso offeso decise per l’accomodamento essendo state accettate le testimonianze sull’accidentalità dell’esplosione del fucile che produsse il ferimento del Cappiello.
Incurante il Mennella degli incidenti in cui era incorso non desistette dalla sua attività filoborbonica allorché le bande di Cipriano Della Gala e di Crescenzo Gravina invasero Migliano il 14 luglio 1861. Informatissimo sulla situazione del paese fu di guida ai briganti addetti al rastrellamento delle armi i quali eseguivano i suoi ordini.
Esercitava, in conclusione, un ruolo autorevole presso le bande, da intervenire in difesa di alcuni suoi concittadini fossero pure di parte contraria sottraendoli all’ira di Giona Della Gala, il quale rinfacciava al liberale Camillo Casoria, ricercato per essere ucciso, che se è ancora in vita lo deve all’intervento di Salvatore Mennella.
Negli ani seguenti, pur rimanendo fedele alle sue idee di appassionato borbonico, come al tempo degli scontri, non si rinvengono fascicoli giudiziari al suo nome.
0 commenti