Francesco Maria Nappi. Conca della Campania 21.12.1946 – Milano 02.05.2011.
Ognun che ci lascia, per raggiungere il regno celeste, affida la memoria di sé in chi rimane: memoria come retaggio dei propri sentimenti, degli affetti, della propria vita vissuta nella comunità in cui ha operato.
Così l’amico, che pur lasciandoci, può rivivere nella venerazione e nel rispetto di quanti lo amarono.
Come il Prof. Nappi che rivivrà nella ricordanza degli innumerevoli amici che gli riconoscevano tanta stima e simpatia, quale persona distintasi per vari aspetti. In particolare per quel senso dell’amicizia sincera, spontanea, sorridente verso tutti, che era il fondamento della sua personalità democratica, anzi popolare da far presa su persone di cultura, di provenienza e di età diverse.
Garbato conversatore dalle battute pronte ed originali e piacevolmente scherzose. Disinvolto interloquiva con vivacità, con fine ed affabile ironia da rendere il suo discorso riposante, distensivo, sicché il suo carattere ci appariva come ispirato religiosamente alla serenità dell’anima.
Ascoltarlo, dunque, creava quel buon umore incoraggiante, spesso a sgombrar la mente dai pensieri opprimenti, generatori di noia e di malinconia.
Era l’uomo vicino a tutti e con franchezza sapeva coinvolgerci nel contesto umano.
Così spiccava in Lui il significato della “humanitas” sentimento che avvicina gli uomini per comunicare, per meglio comprendersi nel reciproco rispetto.
L’humanitas si associava in Lui anche alla “pietas” cristiana e vorrei qui ricordare quel che un giorno egli scrisse, nel 2004, al giornale l’Ora del Vallo, a riguardo dei cortei funebri che da qualche tempo si scioglievano innanzi alla chiesa e non più all’Arco di Fellino come per tradizione.
Egli scriveva: “… In questo modo si toglie al morto l’ultima possibilità di partecipazione alla vita della comunità”. E si augurava a conclusione dell’articolo “di restituire la possibilità di porgere l’estremo Saluto al concittadino che se ne va per sempre”.
Pensieri splendidi, testimonianza di intensa sensibilità e di vita interiore, connesse a nobili valori umani. Finezza di un’anima colta e di intensa spiritualità, attenta ai più sacri culti, pur nella sua natura scherzosa.
Una simile individualità ottimamente si adattava alla missione di docente presso il Liceo Scientifico di Lauro ove per più anni ha educato e istruito generazioni di giovani con sapienza, sapendone ben penetrare l’anima e i sentimenti.
Per gli alunni non era affatto il professore austero da incutere disagio, ma l’amico che entrato nel loro mondo li ammaestrava sorridendo, in modo che il rapporto docente-alunno fosse di autonomia e non di dipendenza.
La personalità multiforme del Professore risaltava ovunque vi fosse richiamo alla cultura, ov’egli sapeva esprimersi in maniera originale attraverso le sue qualità di presentatore e di trasmettitore di ideali.
Ma soprattutto amava il teatro, specchio della vita e di valori educativi, che tanto appassionava i gruppi giovanili da lui guidati e dai quali veniva acclamato e seguito; tanto influiva il suo comportamento, anzi il suo essere, su di essi! E tanti altri spunti potremmo cogliere dalla sua persona, ma ci fermiamo al concetto della famiglia che riviveva in lui il senso pienamente cristiano: stretti i suoi componenti in una fusione di amorevoli sentimenti, alla cui guida, col senno e col cuore ne segnava Egli il cammino.
Di ben giusto vanto ed orgoglio rivivrà la memoria del loro caro. E noi ti ricordiamo così caro Prof. Nappi, sia pur nel minimo di quanto di te possa ancora dirsi: per i tuoi indimenticabili pregi, per il tuo cortese carattere che ti rendeva amico di tutti, rimarrai tra i nostri ricordi più cari. Lauro, Chiesa del Carmine, 20 maggio 2011.
È trascorso un anno da quel pomeriggio di maggio in cui una moltitudine di amici, commossi, salutò ed applaudì il Prof. Nappi come tante volte lo aveva applaudito in apertura di scena quale appassionato direttore artistico nelle sue rappresentazioni teatrali.
Dicemmo allora che “ognun che ci lascia, affida la memoria di sé in chi rimane”.
E quanta memoria di lui rimane tra noi! Ci pare di risentirlo, di rivederlo quotidianamente, tant’era la sua figura notoria, espansiva, da definirsi un vero personaggio della nostra comunità.
E da tutti reputato per le sue personalissime ed eccellenti peculiarità: di cui il fascino del narratore, la comunicativa del presentatore, la partecipazione affettiva alla vita comunitaria.
Erano queste le immagini più emergenti del suo mondo sentimentale e culturale e che comunicavano simpatia.
E quel sorridere disinvolto, disponibile talvolta in circostanze anche austere, motivava il suo stile “giocoso sul serio”.
Le sue argute battute lo dilettavano dilettando gli altri; trasmettendo il buonumore, fugando amarezze, opponendo fiducia a pessimistiche tendenze.
Con parodiare scherzoso mirava al superamento della noia, all’euforia dello spirito, allo slancio della vita verso un mondo più sereno. Era così dotato di intensa spiritualità che veniva filtrata attraverso un’apparenza appunto giocosa. E fu di quei che riescono facilmente e con tutta naturalezza a radicarsi e restare nell’altrui interiorità. Sicché l’anima del nostro amico non può non gioire al pensiero di rivivere nella nostra memoria.
Dono riservato a chi si pone ai posteri quale modello di virtù, di saggezza, di amicizia, in una parola, di quella “eredità d’affetti” di ispirazione foscoliana che tante generazioni di giovani ha educato al rispetto e alla venerazione della memoria di chi ha reso alla comunità affermazioni mediante intelletto e bontà. Uomini come questi, e forse inconsapevolmente, sono stati i veri educatori della società, perciò meritevoli di ogni riguardo dei loro concittadini.
Educatori senza pretese ai quali non necessitava tanto la cattedra quanto bastante era quel particolare privilegio offerto loro dalla natura. E per non dire poi dei meriti professionali del prof. Nappi! Diverse generazioni di giovani studenti sono stati sapientemente da lui guidati, ed essi si saranno certamente stupiti dal rapporto con il loro docente, tutt’altro che cattedratico, ispirato invece ad un colloquiare amichevole e senza distanze.
Mirato ad armonico ricercare insieme, a favorire quella libertà di dialogo che rende vantaggio alla scuola e maggior profitto al discente, misuratamente svincolato e indipendente da metodologie inadeguate agli alunni d’oggi. Per questi comportamenti liberaleggianti cresceva notoriamente una sincera inclinazione verso il professore.
Amava il paese, dirigendo il suo interesse alle tante cose che esso offriva, alla sua storia, alle tradizioni e non meno alla caratteriologia dei cittadini, visti attraverso felici ed originali intuizioni da cogliere spesso la singolarità scherzosa di particolari tipi.
Come il contenuto del suo testo che rispecchia perfettamente il titolo “Seriamente giocoso” con il linguaggio disinvolto e sicuro, immune da tentennamenti o pregiudizi, e aggiungerei, senza scrupoli o falsi pudori.
È lo stile della sua scrittura di sempre. Di una narrativa piacevole, gustosa che addebita e denuncia. Non umorismo fatto solo per facezia, ma ci sono in esso nobili finalità da cogliere. Stile che si richiama un po’ anche all’antica satira che “castigat ridendo mores”: attraverso modi intelligenti e sottili il nostro Autore interpreta la realtà ponendo spesso in risalto aspetti insoliti.
Così, in assimilazione con lo spirito, rievoca con passione i luoghi della memoria e in essi fa rivivere profili di personaggi dell’infanzia vissuta in Vezzara.
E nei momenti di più intensa emozione non mancano accostamenti poetici e letterari sia pur di sfuggita, così reminiscenze omeriche, un ricordo di Foscolo e Carducci che si adattano la particolare momento dell’anima.
E il suggestivo capitolo su Lauro, nella sua prima apparizione al suo sguardo, che si smarrisce dintorno ammirevole della Natura e dell’Arte; ma qualcosa vi cerca ancora, e vi trova l’Amore, qui serenamente vissuto. Spassosissime figure si succedono di capitolo in capitolo come quelle del periodo della sua leva militare, e gli opportuni rilievi sul senso di Patria.
E quei ritratti di paesani d’ogni dove, ingenui e curiosi che ne combinano d’ogni colore, personaggi che rimangono impressi con i loro caratteristici nomignoli e con le loro avventure da strapaese; così nel capitolo “A ruota libera” quei due amici al Teatro San Carlo; e quel burlone di barbiere dilettante fotografo.
E i profilo di Stucchione, compagno di scuola elementare, immagine dipinta con dovizia di particolari. I rilievi sulla scarsa comunicazione umana determinata oggi dalla prevalenza della televisione.
Infine il raffinato ed elegante capitolo sulla Scuola ove risalta il suo credo e soprattutto l’amore per la nobile istituzione. Poi giunse il momento della Pro Lauro importando in “Lumina in castro” la drammatizzazione storica della vita del castello, di cui fu ideatore e regista gettando così le radici di una affermazione che avrà certamente un giusto seguito.
E ripensando così alla figura del caro Amico, ci accorgiamo, di giorno in giorno, che risulta sempre più piena di valori: di cui un messaggio intenso di umanità, di affezione, di augurale esultanza.
Il tutto sull’onda di una fantasiosa e sorridente Poesia.
Lauro, Castello Lancellotti, 5 maggio 2012
0 commenti