Immagino spesso una antologia che contenga storie del nostro paese da regalare a tutti i nostri ragazzi.
Racconti della Lauro bella che tutti abbiamo visto e che loro dovranno un giorno continuare a far vivere.
Racconti dove il passato non è qualcosa di estraneo, ma un darsi la mano tutti, camminando passo dopo passo.I ragazzi di Lauro dovrebbero conoscere la meravigliosa vita di quest’uomo.
Guardatelo, fissatelo in volto.
E’ un signore elegante, lo sguardo serio, preso chissà da quali pensieri.
Lui è Francesco Mazzocca, il cavaliere Mazzocca, don Ciccio, come lo conoscevamo tutti.
Suo padre Giacinto era il “dolciere” del paese e da lui don Ciccio apprese l’arte, diventando insieme a Giovanni Santaniello il rinomato pasticcere e ristoratore di Lauro.
Don Ciccio era un uomo indicibile e sorprendente, quasi al limite del leggendario.
Non guidava ma quanti giri ha fatto. Sì, camminava tanto.
Conosceva le campagne del Sarnese una per una: era lì che andava a scegliere le migliori ciliegie che avrebbe fatto diventare poco dopo amarene così dolci da incantare il palato.
E le strade di Perugia? Forse gli erano estranee?
No che anche lì andava don Ciccio per scegliere la cioccolata più gustosa secondo lui.
Non guidava, ma conosceva il mondo. E conosceva le persone.
Sapeva quanto le persone soffrissero e per loro imbandiva i più bei banchetti.
I timballi, il pollo cotto con quella maestria irripetibile…
E per i suoi lauretani sacrificava i pomeriggi.
Sì, si racconta che il giorno in cui san Sebastiano saliva al castello, il martedì della festa, mentre tutti riposavano, don Ciccio desse mano all’impasto dei mostaccioli.
Un impasto lungo come una festa: una si chiudeva e un’altra iniziava.
I ragazzi di Lauro non hanno mai assaggiato i mostaccioli di don Ciccio.
Diteglielo, raccontate loro che il Natale di Lauro non ha più lo stesso sapore senza quei mostaccioli.
Don Ciccio amava il suo lavoro, di esso viveva.
Sapeva quanto fosse duro e perciò scoraggiò con fermezza i figli dall’intraprendere quell’arte.
Stile degli uomini di un tempo: lui aveva regalato dolcezza, i figli avrebbero regalato umanità alle persone.
Regalato: sì, proprio così. Che io ne sappia mai nessun ragazzo ha pagato un dolce.
Don Ciccio era così. Aveva un desiderio: che l’ultimo momento arrivasse così, davanti al suo tavolo di lavoro.
E così fu: in una domenica distratta dalla campagna elettorale, la voce si rincorreva…
La gente andò: quel giorno non c’erano dolci.
Sul tavolo l’impasto della domenica lievitava.
Quasi a dire che quei dolci non sono mai finiti.
Perché lo stile di don Ciccio, immortale lauretano, non poteva finire, non doveva finire.
Sì, raccontate ai ragazzi di Lauro la vita di don Ciccio: l’immortale signore che regalava dolcezza…
Che bel contributo!
Purtroppo l’ho soltanto sfiorato essendo io del ‘91, lo ricordo tuttavia con grande nostalgia. Da piccolo mi aggiravo spesso per il suo laboratorio, e quando mi vedeva mi chiamava “Cio’! Vie’ ccà, vie’” e mi dava o un mustacciuolo o un raffaiuolo appena usciti dal forno. Il fatto di poter assaggiare i suoi proverbiali dolci prima di quasi tutti i lauretani, lo considero, a tutt’oggi, un grande privilegio.